Melanoma uveale: i progressi della ricerca
Due studi provenienti dalla University of Miami Miller School of Medicine gettano nuova luce sui fattori fisiologici e genetici associati al melanoma uveale.
In un articolo pubblicato il 28 aprile nell'edizione online di JAMA Ophthalmology, il Dr. J. William Harbour e colleghi esaminano le implicazioni prognostiche relative al diametro dei tumori e al profilo genetico associato.
"Nel corso degli anni abbiamo acquisito sempre più esperienza nel campo delle biopsie oculari per l'analisi dell'espressione genica (gene expression profiling, GEP) dei melanomi uveali e siamo riusciti ad eseguire biopsie su tumori di dimensioni sempre più piccole", ha spiegato il Dr. Harbour. "Nel corso dell'analisi dei pazienti con tumori di classe 2 ad alto rischio, è emerso che i pazienti con un diametro tumorale inferiore ai 12 mm hanno un rischio di metastasi molto più basso rispetto ai pazienti con tumori di diametro più grande".
I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver esaminato 339 pazienti nella coorte principale e 241 nella coorte di verifica. Tutti pazienti avevano melanoma uveale del corpo ciliare e/o della coroide.
Le stime attuariali a cinque anni per la sopravvivenza in assenza di metastasi sono pari al 97% per i melanomi uveali di classe 1 con diametro massimo del tumore basale minore di 12 mm; 90% per quelli di classe 1 con diametro massimo del tumore basale pari o superiore a 12 mm; 90% per i melanomi uveali di classe 2 con diametro massimo del tumore basale minore di 12 mm e 30% per quelli di classe 2 con diametro massimo del tumore basale pari o superiore a 12 mm.
Nella coorte di verifica indipendente sono stati corroborati tanto il valore prognostico del diametro massimo del tumore basale quanto quello del cut-off a 12 mm.
"Questi risultati hanno implicazioni molto importanti per la consulenza al paziente, il reclutamento negli studi clinici e il monitoraggio sistemico", ha spiegato il Dr. Harbour.
Nel secondo studio, pubblicato anche questo in JAMA Ophthalmology, il team di ricercatori ha esaminato le associazioni fra gli esiti di 81 pazienti e le mutazioni pilota (driver mutations) nel GEP. Dei pazienti esaminati, 35 sono stati classificati come GEP 1 e 42 come GEP 2, mentre nei restanti 4 pazienti il profilo GEP era sconosciuto.
Il Dr. Harbour ha sottolineato che "Le mutazioni in GNAQ e GNA11 si verificano durante i primi stadi di sviluppo del melanoma uveale e non sono significative dal punto di vista prognostico. Al contrario, le mutazioni in BAP1, SF3B1 e EIF1AX si verificano più tardi nel processo di progressione del tumore (in modo mutualmente esclusivo) e sono associate ad un rischio metastatico rispettivamente alto, medio e basso.
Il GEP nei tumori di classe 2 è stato il fattore prognostico che ha mostrato la più forte associazione con il processo di metastasi (rischio relativo 9,4) e con la mortalità dovuta al melanoma (rischio relativo 15,7). Tuttavia, una volta escluso il profilo GEP, la mutazione BAP1 è risultata essere il fattore con la più rilevante associazione metastatica (rischio relativo 10,6) e di mortalità dovuta al melanoma (rischio relativo 9,0).
"I risultati del nostro studio supportano lo sviluppo di terapie molecolari specifiche dirette alle mutazioni BAP1 e SF3B1 ed evidenziano il potenziale valore diagnostico di queste mutazioni nel quadro del melanoma uveale", ha spiegato il Dr. Harbour.
La pubblicazione dello studio è stata accompagnata da un editoriale del Dr. Arun D. Singh, che ha commentato dicendo: "con la revisione delle stime di sopravvivenza libera da progressione, ci sarà bisogno di ricalcolare la stratificazione del rischio sulla base del GEP".
Nell'editoriale, il Dr. Singh fa notare come gli autori di questo studio: "debbano essere applauditi per gli sforzi profusi nel migliorare il processo di prognosi", ma sottolinea anche come questo tipo di ricerca sia "un work in progress che deve ancora tradursi in un miglioramento dei tassi di sopravvivenza".
La ricerca è stata finanziata dal National Cancer Institute e dalla Melanoma Research Foundation.
Riferimenti:
JAMA Ophtalmology, edizione online del 28 aprile 2016; doi:10.1001/jamaophthalmol.2016.0913